mercoledì 4 luglio 2012

folktales' night


quando Walter Benjamin descrive il narratore, di lui dice, tra molte altre cose in un breve saggio perfetto, che "il suo modello è l’uomo che sa orientarsi sulla terra senza avere troppo a che fare con essa".

non sempre si riesce a cogliere il senso più giusto delle parole di Benjamin, il significato esatto del suo divagante complesso argomentare. però a volte, in rare fortunate occasioni, può invece capitare di vivere situazioni uniche, che quel senso lo descrivono e realizzano proprio in quanto accadono.

è più o meno ciò che ci è successo, a me e all'amica di sempre, nella caldissima notte delle fiabe a Villa Amari, un giardino incantato dalle parti di mare, a Palermo.
l'idea era che i partecipanti al laboratorio sulla fiaba condotto da Alberto Nicolino concludessero il loro percorso narrando una storia, secondo una sequenza orchestrata in modo essenziale, in uno spazio incantevole e che, davvero, sembrava stare sulla terra senza però avere troppo a che fare con essa.

l'idea era questa. la realtà è stata invece un po' diversa.
perché nonostante l'inesperienza, o la timidezza, o la voce che all'inizio trema, o è troppo bassa, o le parole che a volte proprio non vengono, o il filo che a tratti si smarrisce: nonostante tutto questo, i narratori hanno narrato, la fiaba millenaria ci ha presi e portati altrove, la narrazione ha fatto l'incantesimo. ed è stato bellissimo.

soprattutto, per la prima volta mi è sembrato di vedere chiaramente alcune delle caratteristiche della fiaba che, da letture di proppiana, calviniana, rodariana memoria, conoscevo ma stavano laggiù in fondo, da qualche parte, mischiate e confuse con tante troppe teorie e teoriche.

primo: la fiaba è unitaria, il suo funzionamento è basato su una coerenza estrema, asciuttissima, addirittura rigida, che conduce l'immaginazione dritta al punto in cui la narrazione si scioglie. niente fronzoli, né divagazioni: i rami secondari sono secchi, e tolgono solo linfa alla pianta.

secondo: la magia della fiaba è nella parola. nel suo uso preciso, ripetitivo, che struttura e nello stesso tempo stuzzica la memoria, che àncora l'immaginazione nel momento stesso in cui le consente di spiccare il volo.

terzo: la fiaba è realistica, è crudele a volte. racconta la vita l'amore la malattia la vecchiaia la morte, spietatamente, senza abbellimenti, senza leziosaggini, senza moderni buonismi. non servono.

quarto: gli antichi, i contadini, le nonne tutte queste cose le sapevano, e nella narrazione tramandavano conoscenza e saggezza.

sempre secondo Benjamin, "l'arte di narrare volge al tramonto perché vien meno il lato epico della verità, la saggezza. Ma si tratta di un processo che ha origini lontane. E nulla potrebbe essere piú sciocco che vedere in esso solo un 'fenomeno di decadenza', per non dire un fenomeno 'moderno'; mentre è solo un fenomeno concomitante di forze produttive storiche, secolari, che a poco a poco ha espulso la narrazione dall'ambito del discorso vivo e insieme fa percepire una nuova bellezza in ciò che svanisce".

ecco. a me è sembrato che nella notte delle fiabe sia accaduta una cosa completamente diversa, che una saggezza codificata tanto tempo fa fosse di nuovo lì, in grado di parlarci e muoverci, e che al posto della nuova bellezza di ciò che svanisce ce ne fosse un'altra, antica e intatta.

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